INTRODUZIONE
Mentre la digitalizzazione del mondo del lavoro procede spedita, le Direzioni Legali hanno a disposizione tecnologie sempre più avanzate con cui svolgere i propri compiti. Tutto questo sta portando a un’evoluzione del ruolo e delle mansioni del General Counsel, ma anche a nuove dinamiche aziendali, specie nello svolgimento di Consigli di Amministrazione e Assemblee degli azionisti. Di tutto questo abbiamo parlato con Alessia Antonelli, Responsabile Governance e Affari Societari di Tod’s Spa a capo dell’omonimo gruppo del lusso.
L’INTERVISTA
La tecnologia è sempre più diffusa nelle Direzioni legali. In che modo sta cambiando il ruolo del General Counsel e dei suoi collaboratori?
L’innovazione tecnologica ha cambiato notevolmente la gestione aziendale, in tutte le aree, comprese Direzione Legale e Governance. Nuovi strumenti informatici sono di grande ausilio alle Direzioni Legali: penso a piattaforme che permettono di archiviare e condividere documenti in sicurezza, o a programmi specifici per le riunioni del CDA. I software per la compilazione dei contratti sono utilissimi soprattutto per le società che fanno ricorso ai cosiddetti “contratti per condizioni generali” in cui le clausole sono piuttosto standardizzate. Il discorso cambia quando si parla di contratti tra soggetti con uguale forza negoziale e potere contrattuale. In questo contesto, il momento negoziale è fondamentale, soprattutto per certe tipologie di accordi. Pensiamo ad esempio ad operazioni straordinarie come fusioni o acquisizioni, dove il fattore umano resta imprescindibile.
Assemblee degli azionisti e Consigli di Amministrazione si svolgono sempre più spesso da remoto. Che impatto ha avuto nello svolgimento di questi eventi?
L’istituto della video conferenza esisteva già prima del regime emergenziale, tanto che quasi tutti gli statuti contemplano la possibilità di tenere riunioni del Consiglio di Amministrazione (e dei comitati endoconsiliari, ove presenti) in via telematica. Tuttavia, in epoca pre-Covid la riunione da remoto era solo una possibilità, adesso è diventata la modalità prevalente per la tenuta delle riunioni consiliari e dei comitati.
Al riguardo, occorre tenere presente che lo svolgimento delle riunioni in maniera esclusivamente virtuale se, da un lato, può astrattamente frustrare la dialettica interna agli organi societari, svilendone il contraddittorio o dando luogo a situazioni di informativa selettiva, dall’altro costituisce uno strumento di confronto non solo utile (specie laddove la diversity del board è anche diversity di provenienza geografica), ma anche economicamente vantaggioso (innegabile è il cospicuo contenimento dei costi che le aziende hanno conseguito durante il periodo emergenziale).
Il ricorso a tali sistemi di telecomunicazione dovrebbe comunque avere natura “sussidiaria”, dovendosi preferire, laddove possibile, la riunione in presenza, la quale rimane pur sempre la sede privilegiata per lo svolgimento della dialettica in seno all’organo e per la formazione collegiale della delibera.
Pertanto, una volta cessato il regime emergenziale, si dovrebbe tornare alla normalità, anche perché le norme che hanno consentito di svolgere le riunioni esclusivamente da remoto hanno natura eccezionale e, come tali, vanno interpretate in maniera restrittiva.
Siamo curiosi di conoscerla meglio: ci parli della sua carriera. Quale percorso l’ha portata ad essere l’avvocato d’impresa che è oggi? Quali sono state le scelte decisive in questo percorso?
Ho una formazione prevalentemente classico-umanistica. Appena laureata in giurisprudenza, sin dal tirocinio, ho capito di avere una forte predilezione per l’attività stragiudiziale e non per quella giudiziale. Non mi piaceva l’attività del foro, mentre mi hanno sempre appassionato le tematiche relative alla contrattualistica (specie nella sua fase negoziale) e alle operazioni straordinarie, ma soprattutto mi piaceva confrontarmi in contesti internazionali. Così, dopo una prima esperienza maturata in uno studio internazionale di Milano, ho deciso di intraprendere questa professione che mi permette di lavorare in una società multinazionale e di confrontarmi in contesti sempre diversi e stimolanti. È un lavoro che, al pari di tutti gli altri, oltre a richiedere passione e dedizione, richiede anche alcune soft skills specifiche, a cominciare da una certa apertura al dialogo e della capacità di saper ascoltare e bilanciare le esigenze aziendali con le istanze che provengono dall’esterno.
Decisivo, in questo percorso, è stato il connubio tra formazione e indole: la formazione classica mi ha consentito di sviluppare coscienza “critica” e capacità argomentative che, unite alla mia indole, di per sé curiosa e incline a guardare le cose da prospettive diverse, hanno determinato la scelta in maniera del tutto consequenziale.
Parlando di donne e del loro ruolo in ambito governance, l’Unione Europea ha recentemente approvato “Women on boards”, una normativa che porta al 40%, entro il 2046, il numero di donne che devono sedere nei CDA. In Italia com’è la situazione?
La diversity dei board è un tema di grande attualità ed è superfluo dire che questa parola ormai coinvolga non solamente il genere, ma anche l’etnia, la provenienza geografica e le precedenti esperienze lavorative. Personalmente, ritengo la diversity un grande valore aggiunto nella composizione di un board. Se un Consiglio è composto da persone con competenze professionali e sensibilità eterogenee, ha la capacità di analizzare una tematica a 360° e da prospettive diverse. Tutto questo produce un miglioramento della governance aziendale, soprattutto in un contesto macroeconomico come quello attuale in cui i board sono chiamati ad affrontare sempre nuove sfide.
Guardando nello specifico alla componente femminile, in Italia nel 2011 è stata approvata la Legge Golfo-Mosca (L. 120/2011) che ha introdotto le quote di genere nei Consigli di Amministrazione, nei Collegi Sindacali e nei consigli di sorveglianza delle Società quotate in Borsa e delle Società a partecipazione pubblica riservando al genere meno rappresentato (tipicamente quello femminile) e per una durata pari a tre mandati consecutivi (9 anni), una quota pari inizialmente ad 1/5 dei membri eletti e successivamente a 1/3.
Da allora sono stati fatti passi da gigante: in dieci anni dall’entrata in vigore della Legge Golfo, la presenza femminile nei board è cresciuta in maniera esponenziale e siamo tra i primi in Europa per presenza di donne negli organi societari.
Mi chiedo se tutto questo sarebbe avvenuto ugualmente anche in assenza di un provvedimento di questo tipo e cosa sarebbe accaduto se alla scadenza, nel 2020, non fosse stata prorogata per altri sei mandati consecutivi. La presenza femminile negli organi societari è una questione prima di tutto culturale e non penso che i tempi siano ancora maturi perché tutto questo possa accadere spontaneamente.
In conclusione, quale consiglio darebbe ad una giovane donna che punta a ricoprire un ruolo di rilievo come il suo?
Più che un consiglio alle mie “colleghe” donne, vorrei dare un consiglio alle istituzioni.
Il momento di affrontare il tema dell’occupazione femminile in maniera seria è arrivato da tempo e il nostro Paese non può più permettersi di escludere dalla vita lavorativa un’ampia fetta della popolazione, non solo nell’interesse delle madri lavoratrici, ma nell’interesse generale. Non è un caso che il potenziamento dei servizi all’infanzia rivesta un’importanza cruciale anche all’interno del PNRR che, peraltro, ha allocato consistenti risorse a questo scopo. L’Italia sconta un passato carente in servizi come asili nido e scuole primarie e naturalmente sono le donne a pagarne il prezzo. È noto a tutti che durante la pandemia il numero di donne costrette a dimettersi è stato enorme. Purtroppo, esiste ancora una logica binaria e molte donne sono costrette a scegliere tra maternità e carriera: questo non è più accettabile, oltre ad essere anacronistico.
Alle donne che aspirano a ricoprire posizioni di vertice, consiglierei di non ascoltare ciò che continuano a ripeterci: non abbattersi, essere resilienti, rialzarsi dopo una sconfitta… parole che ormai suonano vuote. Ognuna di noi sa come fare per trovare la forza in sé stessa e con le modalità che le sono più congeniali. Tutte, almeno una volta, abbiamo pensato di mollare. Come ho fatto io a non mollare? Da runner, ho ripensato alla mia prima mezza maratona fatta ormai più di dieci anni fa: ero al nono km, ne avevo ancora 12 da percorrere e pensavo di non farcela. Poi mi sono detta: non devo arrivare prima, voglio solo correre la mia gara e tagliare quel traguardo, ma con i miei tempi. E dopo quella, ho corso tante altre gare…
? Nelle precedenti edizioni di LegalTalks:
- Francesco Roberto Wembagher, Quaestio Capital Management SGR – Essere catalizzatori del cambiamento. Il General Counsel: sfide complesse per responsabilità complesse
- Filippo de’ Donato, SISAL – Digitalizzazione e sostenibilità: le nuove frontiere delle Legal Operation
- Ulisse Spada, DiaSorin – Il General Counsel: sempre più centrale nelle scelte strategiche delle aziende