Le PMI stanno investendo sulla riconversione digitale del proprio business, puntando su formazione e affiancamento per il personale.
La trasformazione digitale è un fenomeno in atto che impone alle imprese di inserire all’interno del proprio organico nuove figure professionali.
Resta inteso, ovviamente, che tutti – ma proprio tutti – devono essere in grado di interagire con le nuove piattaforme digitali e i nuovi tool.
La cultura digitale costituisce, dunque, un know how fondamentale all’interno dell’azienda e un reale vantaggio competitivo rispetto ai competitor. Ma come introdurre le competenze digitali sul posto di lavoro?
Per l’azienda, infatti, si tratta non solo di investire in dotazioni tecnologiche, quanto di intraprendere un processo inevitabile verso la modernizzazione e la crescita. Si pensi, ad esempio, alle prime difficoltà riscontrate dalle aziende che hanno apportato innovazione digitale e, nello specifico, al caso della dematerializzazione dei documenti: dipendenti abituati a lavorare con supporti cartacei hanno faticato – e in alcuni casi faticano tuttora – a cambiare approccio e strumenti di lavoro.
In tal caso, dunque, potremmo quasi affermare che è la diffusione della cultura digitale a dover precedere l’adozione di software e strumenti tecnologici.
I collaboratori della varie business unit aziendali, però, non possono acquisire una cultura digitale attraverso un mero aggiornamento formativo tradizionale. Al contrario, è necessaria una formazione mista, chiamata anche blended learning. Si tratta di un modello nuovo: una miscela di conoscenze, informazioni e nozioni operative, capace di combinare momenti di lezione frontale in aula ad attività di carattere pratico, che mettano alla prova il dipendente in modo diretto ed effettivo.
Il formatore, in sostanza, deve riuscire a mettere il personale nella condizione di raggiungere gli obiettivi di formazione digitale di base, ovvero una buona conoscenza del web e della comunicazione propria di questo canale, nonché un adeguato livello di autonomia. Il processo formativo, ovviamente, non si interrompe con la fine dei corsi, ma procede mediante un processo continuo di autoformazione, learning by doing, e con il coinvolgimento dei nativi digitali.
Parlando di Digital Transformation, in Italia, a che punto siamo?
L’innovazione in questo campo è un fenomeno ancora in piena evoluzione, tanto è vero che lo studio condotto da Randstad all’interno del suo periodico Workmonitor sul livello di digital awareness sul posto di lavoro, stima che solo un lavoratore su tre abbia le competenze necessarie. Ciononostante, le digital company crescono di numero e sono tendenzialmente in buona salute, perché producono di più e offrono maggiori sbocchi occupazionali. In particolare, a investire nell’innovazione digitale sono le piccole e medie imprese e le startup, coinvolte sempre più in progetti che richiedono una infrastruttura sia applicativa che tecnologica performante e potente.
Dal punto di vista normativo, occorre segnalare che per accompagnare e supportare le imprese nella trasformazione digitale 4.0, il Sistema Camerale nazionale ha ideato i Punti Impresa Digitale (PID): veri e propri “sportelli” che hanno il compito di promuovere la diffusione dei servizi digitali in grado di portare valore alle imprese e di aumentare, soprattutto nelle PMI, la consapevolezza delle possibili soluzioni (e dei relativi benefici), ma anche dei rischi connessi al mancato utilizzo delle tecnologie digitali.
Il processo di digitalizzazione, insomma, presenta numerosi vantaggi, tuttavia comporta anche lo scambio di dati e documenti sensibili. Per migliorare la sicurezza dei dati e la Governance, DiliTrust ha la soluzione ideale: Dilitrust Exec consente agli amministratori di lavorare in modo efficiente attraverso un framework collaborativo flessibile e tra i più sicuri al mondo.
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